Bosa, 1948, piccoli tagliapietre (per cortesia dell'Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna)
«Spesso, da un po' in qua, ci si domanda quello che sia il Mezzogiorno. E' quello che ne han fatto la natura ingrata e la sorte avversa: una gran causa di debolezza, politica ed economica, per tutta quanta l'Italia, il cui destino è quindi riposto nella resurrezione del Mezzogiorno. Non ha scritto Giuseppe Mazzini: "l'Italia sarà ciò che il Mezzogiorno sarà"?» [Giustino Fortunato, La emigrazione delle campagne, 1879].
Tra le spaventose eredità che il ventennio fascista lasciava in carico all'Italia repubblicana e democratica non c'erano solo le devastazioni e i lutti prodotti dalla guerra, le amputazioni territoriali e l'ondata di profughi in fuga dall'odio dei vincitori verso gli italiani, esortati un tempo ad essere "mai abbastanza ladri, stupratori ed assassini" con le popolazioni soggiogate; c'era anche un grave problema che durante il fascismo era rimasto in massima parte disconosciuto e sepolto: la "questione meridionale".
Per il fascismo la questione meridionale era un problema risolto o, comunque, in via di definitiva risoluzione per effetto dei provvidi interventi dello Stato fascista. L'enciclopedia Treccani, alla voce "questione del Mezzogiorno", riportava nel 1934 che «di una "questione meridionale" non si può più, oggi, legittimamente parlare: e perché tante differenze sono scomparse e perché ormai sono in piena attuazione i provvedimenti del governo fascista che mirano, intenzionalmente, a elevare il tono dell'Italia agricola specialmente meridionale. Ma più ancora, perché ogni traccia di contrasto, di antagonismo, ogni senso di interessi diversi, sono scomparsi dagli animi per la fusione operata dalla guerra mondiale e dal fascismo» [Raffaele Ciasca, voce Mezzogiorno, questione del, in Enciclopedia Italiana, Vol. XXIII, Roma, 1934, p. 151]. E invece, dopo il crollo del regime, si dovette far fronte allo stato di grave arretratezza e miseria estrema in cui ancora versavano le popolazioni del Meridione e delle Isole, sulla cui economia e condizioni di vita la guerra aveva infierito ancora più gravemente che nel resto del Paese.
Nel dopoguerra, nell'ambito dello slancio collettivo volto alla ricostruzione del Paese, la questione dell'unificazione economica dell'Italia riemerse come priorità assoluta, non più vista come problema di una sola parte del Paese, ma come nodo centrale di tutti i problemi italiani. In quegli anni, diversamente da oggi, che le sorti del Sud coincidessero con quelle dell'Italia intera era ritenuta un'ovvietà. La rinascita del Sud era considerata il compimento del processo risorgimentale. Nacquero così i primi piani economici, che videro impegnati i massimi esperti del Paese. Tra questi, l'insigne economista e meridionalista Pasquale Saraceno, che in passato aveva partecipato al risanamento del sistema bancario e industriale colpito dalla crisi del 1929. A lui venne affidata, già dal 1944, la direzione del Centro studi e piani tecnico-economici (CESPTE), fondato dall'IRI e dal Consiglio nazionale delle ricerche proprio al fine di definire le strategie per la rinascita economica del Paese.
Pasquale Saraceno (1903–1991, a sinistra) e Donato Menichella (1896–1984)
Sul finire del 1946 lo stesso Saraceno, insieme
con Donato Menichella, Direttore generale (poi
Governatore) della Banca d'Italia e Rodolfo
Morandi, Ministro dell'Industria, promosse la
costituzione della SVIMEZ - Associazione per
lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno,
cui furono chiamati a collaborare i principali
soggetti economici pubblici e privati italiani,
nonché eminenti economisti stranieri (Paul
Rosenstein-Rodan, Jan Tinbergen, Robert
Marjolin). Parteciparono alla stipula dell'atto
costitutivo i rappresentanti di Banca d'Italia,
Banca commerciale italiana, Credito italiano,
Banco di Roma, Banca nazionale del lavoro, IRI,
IMI, Confindustria, Federconsorzi, Cisa-Viscosa,
Coniel, FIAT, Finsider, Innocenti, Montecatini,
Pirelli, Snia-Viscosa, Società meridionale di
elettricità, Società anonima Arenella.
Ulteriori, numerosi associati si aggiunsero nei
mesi e negli anni successivi (tra questi: Banco
di Napoli, Olivetti, Breda, Società
Montevecchio). Al 31 dicembre 1947 il numero
degli associati era già salito dai 19 iniziali a
45. 17 di questi avevano carattere nazionale, 19
erano impegnati nel Mezzogiorno e 9 svolgevano
in prevalenza attività in altre regioni
d'Italia. Nel 1958 il numero degli associati
sarebbe salito a 88. Come da statuto, obiettivo
della SVIMEZ era «Promuovere, nello spirito
di una efficiente solidarietà nazionale e con
visione unitaria, lo studio particolareggiato
delle condizioni economiche del Mezzogiorno
d'Italia, al fine di proporre concreti programmi
di azione e di opere intesi a creare ed a
sviluppare nelle regioni meridionali e nelle
grandi isole quelle attività industriali le
quali meglio rispondono alle esigenze dei dati
di fatto accertati».
Il Segretario di Stato americano, Gen.
George C. Marshall (1880–1959). Il 5 giugno
1947, presso l’Università di Harvard, tenne un
celebre discorso col quale annunciò la decisione
degli Stati Uniti di intraprendere il piano di
aiuti che da lui prese il nome. Gli aiuti che
vennero all'Italia nell'ambito del Piano
Marshall raggiunsero il valore complessivo di
1,2 miliardi di dollari dell'epoca (pari a circa
17 miliardi di dollari attuali), tre volte il
valore totale degli aiuti dell'UNRRA
(421.000.000 $ dell'epoca).
Nonostante questo fervore di intenti e di studi,
nei primi anni del dopoguerra fu il Nord, e non
il Sud, a fruire per la maggior parte degli
aiuti per la ricostruzione donati dalle Nazioni
Unite e particolarmente dagli Stati Uniti alle
popolazioni europee prostrate dalla guerra, ed
estesi anche ai Paesi ex-nemici come Italia e
Germania. A parte i beni e materiali donati
dall'UNRRA (United Nations Relief and
Rehabilitation Administration) fino al 30
giugno 1947, rappresentati prevalentemente da
materie prime, generi alimentari e di soccorso
che poterono essere distribuiti a tutti, gli
aiuti che subentrarono dopo la cessazione
dell'UNRRA, donati direttamente dagli Stati
Uniti nell'ambito di quello che fu chiamato
"Piano Marshall" (dal nome del Segretario di
Stato americano, Gen. George Marshall), erano
prioritariamente rappresentati da macchinari e
mezzi di produzione, coi quali si cercava di
favorire la ripresa della produzione industriale
dei Paesi beneficiari, ottenendo anche di
mantenere la produzione industriale degli Stati
Uniti sui livelli quantitativi del periodo
bellico, grazie a nuove commesse pubbliche che
si sostituivano a quelle di guerra.
Nel caso dell'Italia, i materiali da richiedere nell'ambito del programma di importazione di prodotti occorrenti per la riattivazione della produzione, il cosiddetto "Piano di primo aiuto", potevano essere utilizzati prevalentemente nel triangolo industriale, dove era localizzato il numero più rilevante degli impianti, e in parte nelle regioni centrali e nord-orientali. Invece, solo assegnazioni trascurabili furono previste per il Mezzogiorno, dove si trovavano pochi impianti, concentrati prevalentemente nell'area napoletana, che peraltro erano stati seriamente danneggiati dai reparti tedeschi in ritirata e la cui riattivazione richiedeva importanti e non immediati interventi di riparazione.
Inevitabilmente, dunque, dato lo squilibrio territoriale dell'apparato produttivo italiano, il Piano di primo aiuto finì per aumentare, e non ridurre, il divario tra Nord e Sud. «La vita della nuova Italia emersa dalla catastrofe bellica ricominciava quindi secondo la tradizionale sequenza: prima uno sviluppo economico che accentua il divario, poi, a favore del Mezzogiorno, interventi di varia natura intesi a correggere in qualche modo gli effetti di un andamento che, lasciato a se stesso, avrebbe escluso il Mezzogiorno dai suoi benefici. Queste amare considerazioni portarono, direi subito, alla constatazione che la stessa vicenda si sarebbe ripetuta nelle varie fasi in cui si sarebbe poi svolta la ricostruzione e, perché no?, anche oltre. Come poteva cambiare un modello di sviluppo che operava nel nostro Paese in modo da rendere non conveniente l'investimento volto a creare occupazione nel Mezzogiorno? Un modello, si noti, che produceva un aumento del divario e rendeva poi necessaria una spesa pubblica che, effettuata in una situazione di non convenienza ad investire, poteva avere solo carattere di assistenza e non di sviluppo. Ma, se questo era il modello di sviluppo, si fa per dire, della società italiana, perché non finalizzare quella spesa al fine di creare quella convenienza ad investire che mancava nel Mezzogiorno? È dalla risposta data a questo interrogativo che nasce presso la SVIMEZ il nuovo meridionalismo e, come primo prodotto, l'idea dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno» [Saraceno, Il nuovo meridionalismo, 1984].
In realtà, se in una prima fase il Meridione si avvantaggiò assai meno del Nord degli aiuti del Piano Marshall, in una fase successiva poté indirettamente fruirne. I beni e i macchinari donati dall'UNRRA e dall'ERP (European Recovery Program, mediante il quale si esplicò il Piano Marshall), anche se in parte furono distribuiti gratuitamente ai più bisognosi, per la maggior parte furono venduti dal Governo italiano alla popolazione e alle imprese a prezzi concordati con gli Enti donatori. I ricavi netti delle vendite furono versati in un "Fondo Lire" del Tesoro presso la Banca d'Italia, e utilizzati per finanziare programmi di assistenza e riabilitazione stabiliti d'accordo con i donatori. Fra i principali, l'assistenza alimentare gratuita a circa 1.800.000 madri e bambini, la lotta antimalarica, il programma contro il tracoma e la tubercolosi, la costruzione a Roma della prima fabbrica di penicillina in Italia, il programma di riparazioni e ricostruzione di case per i sinistrati e infine, in parte, la Cassa per il Mezzogiorno.
1950, disinfestazione all'interno di una casa eseguita da un
operaio dell'ERLAAS, Ente Regionale per la Lotta Anti-Anofelica in
Sardegna (per cortesia dell'Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna)
Va ricordato, in particolare, come in Sardegna,
grazie ai proventi delle donazioni UNRRA ed ERP
e al contributo scientifico e finanziario della
Fondazione Rockefeller, fu sostenuta l'attività
dell'ERLAAS, Ente Regionale per la Lotta
Anti-Anofelica in Sardegna, che operò dal
1946 al 1950 conseguendo la completa
eradicazione della zanzara anofele dall'Isola e
la fine della piaga millenaria della malaria.
Lo strumento col quale fu infine attuato l'intervento straordinario nel Mezzogiorno concepito dagli uomini della SVIMEZ fu la Cassa per le opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia Meridionale, comunemente denominata Cassa per il Mezzogiorno, o ancor più sinteticamente CASMEZ. Al disegno di legge per l'istituzione della Cassa (che De Gasperi avrebbe voluto chiamare "Istituto per il Risorgimento del Mezzogiorno") attese principalmente il Governatore della Banca d'Italia, Donato Menichella, insieme con lo scienziato napoletano Francesco Giordani, già presidente dell'IRI e del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Il disegno fu approvato dal Parlamento italiano con la legge n. 646 del 10 agosto 1950, istitutiva della CASMEZ.
Contemporaneamente, con la legge n. 841 del 21 ottobre 1950 e altre che seguirono, fu varata la riforma agraria, in applicazione dell'art. 44 della Costituzione che prevede dei limiti di estensione della proprietà terriera privata e impone la bonifica delle terre al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo. Grazie alla riforma, si stima che tra il 1950 e il 1964 furono espropriati e trasferiti ai braccianti agricoli circa 3,6 milioni di ettari incolti o mal coltivati. La complessiva riduzione delle dimensioni delle aziende agricole che ne derivò, impose da un lato forme di cooperazione grazie alle quali fosse possibile programmare le produzioni e centralizzare la vendita dei prodotti, e dall'altro la bonifica delle superfici utilizzate ai fini di un più razionale e remunerativo sfruttamento. Nel Meridione, una delle principali attività cui attese la Cassa per il Mezzogiorno fu proprio la realizzazione delle importanti e imponenti opere occorrenti per la bonifica e l'irrigazione dei terreni agricoli.
La CASMEZ era un ente con un elevato grado di autonomia sia nella programmazione delle iniziative che nella distribuzione dei fondi, caratterizzato da una specifica giurisdizione territoriale, che abbracciava le sette regioni meridionali (divenute poi otto con la separazione, nel 1963, di Abruzzo e Molise): Abruzzo e Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, più alcuni territori del Lazio (province di Latina e Frosinone e alcuni comuni delle province di Roma e Rieti) e altre aree più limitate delle Marche (la zona di Ascoli Piceno) e della Toscana (isole d'Elba, del Giglio e Capraia). Questi confini rimarranno praticamente immutati durante i quarant'anni di intervento straordinario, sopravvivendo anche alla trasformazione, con la legge n. 64 del 1986, della Cassa in AGENSUD (1986-1992). Al loro interno, però, si distingueranno alcune aree beneficiarie di particolari interventi: fin dall'inizio i "comprensori di bonifica", poi, soprattutto con le leggi n. 634 del 1957 e n. 555 del 1959, i "nuclei di industrializzazione" e le "aree di sviluppo industriale"; con il piano quinquennale della seconda metà degli anni '60 (legge n. 717 del 1965), furono aggiunti anche i "comprensori di sviluppo turistico" e gli "ambiti territoriali caratterizzati da particolare depressione".
Primi anni '60, cartelloni descrittivi dei lavori di costruzione della diga del Cuga (SS)
Con la legge istitutiva della Cassa lo Stato
italiano si impegnava in un programma decennale
di spesa di complessivi 1.000 miliardi di lire
dell'epoca (circa 22 miliardi di euro del 2024)
per lo sviluppo del Mezzogiorno. Ma il fondo
assegnato venne integrato con altri 280 miliardi
di lire già dal 1952, con la legge n. 949 che
estendeva anche a dodici anni la durata degli
interventi, e ulteriormente incrementato con
provvedimenti successivi, che prorogarono ancora
l'attività della Cassa.
Fino al 1957 l'attività della Cassa fu volta principalmente ad infrastrutturare il Meridione, creando le condizioni per lo sviluppo delle attività produttive e per la futura industrializzazione, che si portò avanti negli anni successivi. Il modello di riferimento cui si ispirarono i fondatori della Cassa fu la Tennessee Valley Authority americana, creata nel 1933 nell'ambito del New Deal roosveltiano per realizzare infrastrutture (bonifica, irrigazione, energia idroelettrica) nel sistema fluviale del Tennessee: un'agenzia federale che autonomamente avrebbe progettato, gestito e ottimizzato gli interventi pubblici in una certa area del Paese. Fu questa autosufficienza politica e tecnica della CASMEZ il segreto del suo successo e della sua efficacia; un segreto che, a ben vedere, era alla base anche del successo della Società Elettrica Sarda negli anni '20 e poi nel secondo dopoguerra, quando la SES realizzò le dighe del sistema idroelettrico dell'Alto Flumendosa e poi del Taloro: quello di rappresentare una compagine così capace da condurre a compimento opere di enorme impegno senza interferenze politiche paralizzanti, anche in assenza, o carenza, di capacità tecniche, organizzative e finanziarie di soggetti e amministrazioni locali. «Le finalità dell'azione della "Cassa" erano quelle di dotare il Mezzogiorno di infrastrutture civili e di sostenere la riforma agraria rendendo possibile l'irrigazione. La struttura organizzativa era estremamente agile costituita in maggioranza da tecnici tra i quali molti altamente qualificati – agronomi e soprattutto ingegneri – nel settore delle bonifiche e delle opere idrauliche; questi tecnici avevano retribuzioni elevate, proporzionate del resto alle loro capacità. Ci si può domandare, leggendo la legge istitutiva della "Cassa", perché una istituzione essenzialmente finanziaria alla quale la legge istitutiva assegnava il compito di trasferire fondi sulla base di concessioni amministrative per i progetti presentati dai cosiddetti Enti Concessionari (Comuni, Province, Enti di Bonifica) avesse bisogno di tanti tecnici. In effetti quasi sempre il livello di competenza degli Enti Concessionari era bassissimo anche per assoluta mancanza di esperienza. Perciò la "Cassa" oltre che al finanziamento dei progetti doveva poi per la loro redazione ed esecuzione fornire una intensissima opera di assistenza tecnica da parte dei suoi funzionari. Anche in questo caso è abbastanza chiara l'influenza della TVA che eseguiva le opere in via diretta.» [Petriccione, La Cassa per il Mezzogiorno come io la vidi, 2011].
Gabriele Pescatore (1916-2016), presidente della Cassa per
il Mezzogiorno dal 1955 al 1976, ne incarnò i valori, le strategie e le concrete
attuazioni. «La sua presidenza della Cassa per il Mezzogiorno,
durata oltre un ventennio, ha segnato la stagione migliore
dell'intervento pubblico per ridurre il divario tra Nord e Sud, per
accrescere opportunità e diritti di larghi settori sociali, per
realizzare programmi e infrastrutture necessari alle regioni
meridionali, e dunque alla crescita e al benessere della nazione
intera» [Sergio Mattarella].
Il problema del basso livello di organizzazione,
se non di competenza, degli Enti concessionari
di finanziamenti pubblici, nel Meridione esiste
tutt'oggi, e ciò fa sì che investimenti anche
generosi dello Stato nel Mezzogiorno restino
spesso solo potenziali, finendo per essere
ritirati una volta constatata l'incapacità dei
Concessionari di condurre in porto in tempo
utile gli interventi finanziati. E' colpa del
Sud che non riesce a darsi una classe dirigente
all'altezza? In parte sì, è innegabile. Ma è un
limite dei Governi nazionali, a fronte delle
riconosciute carenze funzionali delle
amministrazioni meridionali, non curarsi di
superarle con l'unico strumento utile
ipotizzabile: un soggetto capace di per sé di
trasformare un obiettivo e un finanziamento in
un'opera finita, ciò che nella pubblica
amministrazione italiana, dopo la Cassa per il
Mezzogiorno, non è più esistito.
Sui motivi per i quali, col tempo, l'azione della CASMEZ ha perso in gran parte l'iniziale efficacia, in Italia si è detto e scritto tantissimo. Forse troppi rilanci, troppe competenze che hanno appesantito l'azione della Cassa, innegabili errori nell'impiantare al Sud grandi complessi industriali, che da un lato entrarono in competizione e misero in difficoltà un tessuto sociale fatto di piccole e medie aziende artigianali, e dall'altro si rivelarono non abbastanza agili, dopo la crisi petrolifera degli anni '70, da far fronte alle mutate condizioni del mercato globale. Ma soprattutto, venne meno progressivamente l'autonomia dalla politica, gravemente ostacolata già con la legge n. 717 del 1965, che prevedeva l'obbligo di sottoporre all'approvazione del Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno i programmi della Cassa.
Con l'avvio delle Regioni a statuto ordinario nel 1970 cambiarono poi definitivamente gli equilibri di potere tra centro e periferie. Nuovi provvedimenti di legge consentirono alle neo-costituite Regioni di aumentare notevolmente l'influenza politica sulla Cassa, intervenendo direttamente nella pianificazione e realizzazione dei progetti, e sostituendo progressivamente i tecnici della Cassa con propria burocrazia locale, talora selezionata per lealtà politica. Le distorsioni crebbero patologicamente nella seconda metà degli anni '70 e poi soprattutto nel decennio successivo, finché la stessa politica che aveva azzoppato e trasformato la Cassa in un ente costoso e inefficace decise infine di chiuderla.
Nell'aprile 1984 il Parlamento negò l'ennesima proroga alla Cassa per il Mezzogiorno, che con D.P.R. in data il 6 agosto dello stesso anno, dopo 34 anni di attività, venne soppressa e posta in liquidazione. Benché formalmente soppressa, la Cassa continuò tuttavia a operare per portare a termine i progetti già in corso, finché nel 1986, con la legge n. 64 in data 1° marzo, che portava il titolo "Disciplina organica dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno", la struttura residua rinacque come Agenzia per la promozione e lo sviluppo nel Mezzogiorno (AGENSUD). La nuova AGENSUD, tuttavia, non ebbe il respiro della prima CASMEZ, quello di unico e autonomo istituto deputato allo sviluppo del Mezzogiorno; essa avrebbe dovuto limitarsi a erogare fondi e a concorrere con specifici "enti di promozione per lo sviluppo del Mezzogiorno" al raggiungimento degli obbiettivi di un programma triennale di sviluppo. Alla realizzazione del programma triennale si sarebbe provveduto mediante piani annuali di attuazione, formulati dal Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno con il concorso delle regioni meridionali.
Nel 1992, sotto la spinta dell'indignazione dell'opinione pubblica creata dall'inchiesta "Mani pulite" e di furenti iniziative referendarie volte a sopprimere sia l'AGENSUD che i Ministeri del Mezzogiorno, delle partecipazioni statali e dell'agricoltura, si decise di porre fine all’intervento straordinario nel Mezzogiorno. La legge 19 dicembre 1992, n. 488, soppresse l'AGENSUD a decorrere dal 1º maggio 1993, affidando al Ministero del bilancio e della programmazione economica (poi confluito nel Ministero dell'economia e delle finanze) il coordinamento, la programmazione e la vigilanza sull'intervento pubblico nelle aree economicamente depresse del territorio nazionale.
Oliena, 1948, donne raccolgono l'acqua alla fonte "Sa Untana
Manna" (per cortesia dell'Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna)
Nonostante l'infausta evoluzione e fine della
Cassa per il Mezzogiorno, la sua eredità è
enorme e preziosa. Resta innanzi tutto l'esempio
virtuoso dei primi anni della Cassa, come unico
strumento che, nella storia dell'Italia unita, è
realmente servito a far decollare il reddito del
Sud avvicinandolo a quello del Nord e creando le
premesse del miracolo economico italiano degli
anni '50 e dei primi anni '60. Nessuno che
voglia seriamente affrontare il problema del
divario di reddito tra Nord e Sud, nuovamente e
pericolosamente allargatosi, potrà mai
prescindere da un precedente tanto efficace e
fruttuoso. Ma restano soprattutto le opere:
strade, porti, aeroporti, ospedali, scuole,
bonifiche, dighe, acquedotti, che non sono
bastati ad agganciare stabilmente la capacità
produttiva del Sud a quella del Nord più
sviluppato, ma hanno comunque sollevato il
Mezzogiorno dalle condizioni di arretratezza e
prostrazione in cui versava prima che l'intervento
straordinario fosse concepito, ridando dignità e
opportunità di lavoro alle persone e facendo
infine dell'Italia tutta, nonostante i tanti
problemi irrisolti, un Paese avanzato.
In Sardegna l'impegno della CASMEZ nelle opere idrauliche (bonifiche, irrigazioni, acquedotti, fognature e, naturalmente, dighe per alimentare le utenze e regolare il regime dei corsi d'acqua) fu particolarmente importante, proporzionale, del resto, alle gravi necessità della regione. Il Piano di normalizzazione dell'approvvigionamento idrico dell'Italia Meridionale e delle Isole varato dalla Cassa consentì finalmente che in tutte le case vi fosse l'acqua corrente, abbondante, di buona qualità e a un costo ragionevole. L'intero territorio dell'Isola fu considerato zona di intervento per opere di bonifica o adeguamento di qualche natura (bonifica o sistemazione montana e dei litorali, bonifica agraria e trasformazione fondiaria al fine di conseguire nuove o maggiori produzioni, ridefinendo anche la fittezza delle maglie stradali). Imponente fu l'azione della Cassa per dotare la regione, alquanto povera di risorse idriche sotterranee, degli invasi artificiali indispensabili per l'approvvigionamento irriguo e potabile. Fu la Cassa che finanziò e promosse il completamento delle dighe ausiliarie dell'invaso di Monti Pranu; il completamento della diga di Casteldoria con le opere finalizzate all'irrigazione del Comprensorio di bonifica della Bassa Valle del Coghinas; la realizzazione del sistema Flumendosa-Campidano-Cixerri con le dighe di Nuraghe Arrubiu, Monte Su Rei, Flumineddu, Sa Forada de s'Acqua, Casa Fiume, Rio Leni, Punta Gennarta, Genna Is Abis, Medau Zirimilis; il sistema di irrigazione della Nurra, con le dighe del Cuga e di Monteleone Roccadoria; la diga di Maccheronis per l'irrigazione del Comprensorio di bonifica Siniscola-Posada-Torpè; la diga del Liscia per l'irrigazione del Comprensorio di bonifica Olbia-Padrogianus e l'alimentazione potabile della Gallura; la diga di Pedra 'e Othoni per la regolazione idraulica ed utilizzazione irrigua del fiume Cedrino e dei suoi affluenti; la diga di Monte Lerno per l'irrigazione del Comprensorio di bonifica dell'Agro di Chilivani; la diga di Santa Lucia per l'irrigazione del Comprensorio di bonifica dell'Agro di Tortolì, le dighe per gli acquedotti civili: Govossai, Bidighinzu, Sos Canales, Bau Pressiu, Torrei, Simbirizzi, Is Barrocus, Olai; la diga di Monti di Deu per l'alimentazione della Zona industriale di Tempio-Calangianus e le aree irrigue del distretto di Padulo, presso Tempio; le nuove dighe del sistema Tirso, Cantoniera e Nuraghe Pranu Antoni; le dighe di Monti Nieddu e Is Canargius, a servizio delle utenze irrigue e potabili del Caputerra.