Il Rio Piscinas (da
Arbus Turismo, portale turistico del Comune di Arbus).
Le foto del Rio Piscinas sembrano immagini create artificialmente da un
computer artist alla ricerca di associazioni cromatiche
di particolare impatto. L'effetto combinato del fiume rosso e
della macchia mediterranea circostante è talora di una bellezza
assoluta. Al punto che verrebbe quasi voglia di preservarlo così
com'è questo fiume così unico, coreografico, spettacolare.
E invece il Comune di Arbus, non certo per indifferenza verso le proprie risorse paesaggistiche, vorrebbe farlo tornare azzurro, e a questo fine è impegnato in una battaglia pluridecennale con le competenti autorità provinciali e regionali, finora con risultati poco soddisfacenti.
Il fatto è che il fiume è rosso perché inquinato dal dilavamento dei materiali di risulta dei processi di arricchimento un tempo eseguiti negli impianti minerari situati a monte, in prossimità dello stesso Rio Piscinas e del suo principale affluente, il Rio Irvi. Si tratta di materiali contenenti metalli e semimetalli pesanti (prevalentemente piombo, arsenico, cadmio, rame, zinco, antimonio) in quantità tali da costituire una pericolosa fonte di contaminazione per l'ambiente.
La diga sul Rio Piscinas.
La problematica dello sversamento in mare delle sostanze
inquinanti convogliate dal Rio Piscinas, e in particolare i
riflessi negativi che potevano derivarne all'attività delle
tonnare, fu all'origine, sul finire degli anni '30, di una
disposizione del Commissariato generale per le fabbricazioni di
guerra, che richiese di realizzare una diga "mariniera", cioè
con paratoie a scomparsa, presso la
foce del rio. Nel periodo del passaggio dei tonni
(aprile-giugno) le luci della diga dovevano essere chiuse impedendo
alle acque del fiume di scaricarsi in mare.
Finito il passaggio
dei tonni, le luci si sarebbero riaperte consentendo alle piene
invernali e primaverili di ripulire il bacino di invaso dai fanghi accumulati.
Vista aerea della spiaggia di Piscinas (dal
Portale della Provincia del Medio Campidano), con indicata
la posizione della diga.
L'opera fu così posta in cantiere ed ultimata nel 1941, come indicato da
una targa ancora presente sulla spalla destra della diga, che la data
all'anno XIX dell'era fascista. Riportano le cronache che la
diga rimase in esercizio fino al 1973, quando fu distrutta da una
piena (cfr. Progemisa:
Le miniere di Montevecchio e Ingurtosu Gennamari. In
Progetto Montevecchio Ingurtosu, 2001).
Disegni originari della diga di Piscinas, conservati
nell'Archivio documentale della Miniera di Montevecchio, presso
il Comune di Guspini.
Il progetto originario della diga prevedeva la
realizzazione, su una platea di cemento armato lunga circa
40 m e spessa 1 m, di due spalle, pure in cemento armato, distanti fra
loro 23 m. Tra le spalle erano previste sette pile spesse
ciascuna 1,15 m ed alte 7 m, con interasse di 3 m
l'una dall'altra.
La distanza fra ciascuna delle due spalle e
l'asse della pila adiacente era prevista pari a 2,5 m. In
tal modo, la luce tra due pile consecutive sarebbe stata di 1,85
m, mentre la luce fra le pile di estremità e le spalle
sarebbe risultata un po' maggiore, e pari esattamente a 1,925
m.
In realtà, in sede esecutiva il progetto fu radicalmente modificato. Presso l'Archivio documentale della Miniera di Montevecchio, curato dal Comune di Guspini, mentre si conservano le tavole del progetto originario, non si ritrovano disegni di consistenza delle opere finite, né è noto, allo stato attuale delle ricerche, se e dove questi disegni siano reperibili. Ad ogni modo, l'esame e il rilievo dei ruderi della diga consentono di completare il quadro e ricostruire in modo sufficientemente attendibile l'effettiva geometria e consistenza delle opere realizzate.
Disegni di consistenza della diga, ricostruiti sulla base
della documentazione disponibile e del rilievo dei ruderi.
Geometria dei traversoni in rovere coi quali venivano chiuse
le luci della diga (Archivio documentale della Miniera di
Montevecchio).
Rispetto a quanto previsto nel progetto originario, fu mantenuto il solettone di base dello spessore di
1 m e la distanza fra le spalle pari a 23 m, ma le pile
divennero cinque, e non più sette, il loro spessore fu portato a
2,2 m e la loro altezza ridotta a soli 5 m, invece dei 7 m che
il progetto originario avrebbe previsto. Le sei
luci fra le pile, e fra le pile di estremità e le spalle,
risultarono tutte identicamente larghe 2 m.
A valle, con l'evidente intendimento di incrementare la stabilità allo scorrimento della diga, furono infissi dei pali in legno disposti a quinconce su due file distanti 30 cm l'una dall'altra. Su ciascuna fila, l'interasse tra i pali è di circa 40 cm. Un cordolo in calcestruzzo armato, largo 1,6 m, collegava e avvolgeva le sommità dei pali.
Le spalle furono entrambe realizzate con dei piloni larghi 3,40 m ed alti 5,43 m. Sia in destra che in sinistra, i piloni di estremità proseguivano con un muro di contenimento a chiudere la sezione sbarrata. In destra idraulica fu realizzato un singolo muro; in sinistra, verosimilmente con l'intento di migliorare la tenuta laterale dello sbarramento, il muro fu realizzato doppio.
Sopra le pile e i piloni laterali correva una passerella in calcestruzzo fortemente armato larga 1,6 m e spessa 25 cm.
La chiusura delle luci nei periodi in cui era prevista la ritenuta delle acque del fiume si otteneva inserendo, tra i gargami ricavati nelle pile, dei traversoni in rovere catramati lunghi 2,4 m, alti 18 cm e larghi 15 cm. La sezione di ciascun traversone era alleggerita sul lato di valle e sagomata a C mediante un solco profondo 6 cm che ne attraversava l'intera lunghezza. Sempre sulla faccia di valle venivano poi ricavate due scanalature per lasciare spazio ai cavi che, fissati a due ganci presenti nel traversone più profondo, consentivano mediante un argano di issare l'intera pila di traversoni. Uno dei traversoni di base, con i suoi ganci e con un tratto residuo di cavo ancora annodato ad uno di questi, si ritrova tutt'oggi incastrato alla base della prima luce da destra, il che rappresenta un indizio assai convincente di come la rovina della diga sia avvenuta durante un periodo di chiusura delle luci medesime.
La diga formava un bacino di decantazione di 75.000 m² di superficie e circa 120.000 m³ di capacità con livello del pelo libero alla quota di sommità delle pile (6 m s.l.m.), come si deduce da un piano a curve di livello conservato presso l'Archivio documentale della Miniera di Montevecchio.
La ricostruzione ed elencazione, di cui ai capoversi precedenti, delle caratteristiche tecniche e geometriche della diga andata distrutta, sarebbe un esercizio compilativo di ben scarso interesse se non fosse preliminare e funzionale a dar risposta ad una ben più interessante questione: come e perché la diga è crollata?
A questo proposito, è utile dapprima osservare come l'opera presenti già al primo sguardo due anomalie molto evidenti:
Tempo di ritorno | Portata di colmo |
10 anni | 100 m³/s |
50 anni | 200 m³/s |
100 anni | 250 m³/s |
1000 anni | 450 m³/s |
Verrebbe forse da chiedersi se quel diaframma così necessario per una diga fondata sulle alluvioni potesse essere rappresentato dalla doppia fila di pali in legno infissi a valle della diga. La risposta è no, in quanto i pali non costituiscono un diaframma continuo e non costringono l'acqua filtrante ad un allungamento della propria traiettoria, con i benefici effetti che ne deriverebbero. Viceversa, i pali determinano una strizione della sezione disponibile per il flusso, e dunque un incremento locale della velocità dell'acqua, analogamente a quando in un tubo flessibile si chiude parzialmente la sezione di sbocco dell'acqua ottenendo un getto più lungo per effetto della maggiore velocità dell'acqua in uscita. Quindi, quantomeno localmente, l'effetto dei pali non è quello di prevenire, ma semmai di favorire il sifonamento, proprio per via dell'incremento che ne deriva alla velocità dell'acqua filtrante.
Sezione della seconda diga di Puentes sullo scarico di fondo
e, a destra, i resti della diga in una foto del XIX secolo.
Esiste un
precedente celebre e tragico di sifonamento in un terreno
alluvionale consolidato con dei pali di legno e percorso da
acqua filtrante in pressione: è quello della seconda diga di
Puentes, che fu realizzata tra il 1785 ed il 1791 sul Rio
Guadalentín, in Spagna, per alimentare la città di Lorca e
proteggerla dalle ricorrenti inondazioni. Si parla
di “seconda” diga di Puentes perché sostituiva una “prima” diga
sul Rio Guadalentín che fu distrutta da una piena nel 1648
mentre era ancora in costruzione. Questa seconda diga, in
muratura di pietrame grezzo e malta con paramenti in pietra da taglio,
alta 50 metri e capace di invasare 53 milioni di metri cubi, era destinata ad essere costruita sulla roccia,
ma nel corso degli scavi fu scoperta una profonda fenditura
nella roccia d’imposta. Le trivellazioni di indagine si spinsero
fino a 7,5 metri di profondità nelle alluvioni, senza che si
trovasse il sostrato roccioso. Si pensò allora di rimediare al problema
fondando la parte centrale della diga su dei pali di 6,7 m
di lunghezza disposti a scacchiera infissi nel
materiale alluvionale che riempiva la fenditura. La palificata,
realizzata per un'estensione di 46 m al di sotto della muratura,
fu continuata a valle della diga per altri 40 metri. Per la
parte sotto la diga le teste dei pali vennero incastrate nel
masso di fondazione della diga stessa; nella parte a valle furono
incastrate entro la muratura di una platea di 2,5 m di spessore.
Dopo undici anni di servizio della diga, il 30 aprile 1802, l’appoggio inadeguato cedette di schianto sotto la pressione del serbatoio, dopo che però, in anni precedenti, si erano già manifestate effiltrazioni che in alcuni avevano suscitato timori sulla riuscita e durata di quell'opera. Tutta la parte centrale della diga fu proiettata a valle, e dopo il disastro la diga presentava un enorme foro che la rendeva simile a un ponte. Il serbatoio, che al momento del disastro conteneva 52 milioni di metri cubi, si svuotò in un'ora. I morti a seguito dell'alluvione furono 680.
Il crollo della seconda diga di Puentes impartì una lezione mai più dimenticata: una diga muraria, per quanto ben dimensionata possa essere, non può essere fondata sulle alluvioni, a meno di accorgimenti a protezione dal sifonamento, dei quali sopra si è detto.
Vista aerea dei ruderi della diga, con indicazione della
posizione attuale dei conci e delle spalle (in rosso) e della
posizione originaria (in giallo).
Statica spalla sinistra | ||||
Carico a monte | Peso spalla+platea | Sottospinta | Spinta idrostatica | T/N |
6,00 m | 611 t | 228 t | 144 t | 0,38 |
7,00 m | 266 t | 193 t | 0,56 | |
8,00 m | 304 t | 234 t | 0,76 | |
9,00 m | 342 t | 267 t | 0,99 |
Statica pila generica | ||||
Carico a monte | Peso pila+platea | Sottospinta | Spinta idrostatica | T/N |
6,00 m | 232 t | 126 t | 76 t | 0,71 |
7,00 m | 147 t | 99 t | 1,15 | |
8,00 m | 168 t | 118 t | 1,82 | |
9,00 m | 189 t | 132 t | 3,04 |
Alcune veloci verifiche portano a escludere che il dislocamento delle diverse parti della diga sia dovuto ad una insufficienza statica delle opere. A conti fatti, si vede che anche ipotizzando un carico idraulico a monte di 9 metri sopra la superficie di fondazione (e cioè di 3 metri sopra la sommità delle pile), tanto per la spalla sinistra (più platea sbordante di 1 m sulla destra, più sabbia compresa tra muro anteriore e posteriore), quanto per una pila generica (più platea sbordante di 1 m su entrambi i lati), il carico strutturale prevale sulla sottospinta. Dunque può escludersi che le opere abbiano "galleggiato" per effetto di una piena montante.
Il rapporto fra la risultante T delle forze orizzontali (pari alla spinta idrostatica) e la risultante N delle forze verticali (differenza tra peso e sottospinta), che normativamente dovrebbe tenersi entro il valore 0,75, supera questo limite a partire da 8 metri di carico idraulico per la spalla sinistra e a partire da poco più di 6 metri di carico idraulico per le pile. Ma questa potenziale instabilità allo scorrimento in direzione monte-valle viene certamente compensata dalla presenza della palificata di valle, e infatti si osserva che nessuna delle parti dell'opera è poi traslata verso valle, bensì verso monte.
Dunque? Dunque la sola ipotesi che resti in piedi è quella del collasso per erosione della fondazione (sifonamento). Considerato che, a differenza della spalla destra, la spalla sinistra è stata ampiamente dislocata, è ragionevole concludere che quest'ultima poggiasse o fosse a contatto della roccia solo sul suo lato sinistro, mentre la parte destra (o meglio la platea sottostante) già poggiasse sulla sabbia. Molto probabilmente, è sotto il pilone sinistro, al contatto fra la roccia della sponda e la sabbia su cui la platea poggiava, che si è innescato il fenomeno di sifonamento. L'evento di piena che ha prodotto la rovina della diga potrebbe aver fatto precipitare un processo già in atto.
Schema del processo di sifonamento
Vista da valle dei ruderi della diga
Ad ogni modo, è evidente come l'erosione dell'appoggio abbia
creato in sinistra, al piede di monte e sotto lo sbarramento,
una vera e propria voragine dentro la quale si sono rovesciate
le due pile più a sinistra e, di seguito, le altre (ad eccezione
della prima pila in destra, rimasta pressoché stabile nella
propria posizione). Questo si apprezza non solo dallo
spostamento planimetrico delle diverse parti dell'opera, ma
anche da quello altimetrico, che evidenzia la discesa di oltre
tre metri, rispetto alla posizione originaria, della sommità
della pila più a sinistra.
Lo spostamento planoaltimetrico della spalla sinistra sembra potersi spiegare da un lato con il trascinamento del pilone franato anch'esso entro la voragine (che spiegherebbe l'avanzamento verso monte del pilone e la discesa di quota dell'intera spalla), e dall'altro con l'attrito della sponda tendente a trattenere la parte che vi si appoggiava, col che il blocco della spalla sinistra si presenta ruotato in senso orario rispetto alla posizione originaria. E' possibile che la spalla abbia anche accusato una spinta e uno spostamento verso sinistra per effetto del crollo delle due pile adiacenti.
Conclusioni: come talora si legge nei pareri del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, «le conclusioni sono già espresse nei "considerato" che precedono». Da quanto sopra esposto già si desume che le dighe si compongono sempre di due parti: una emergente e l'altra sotterranea sottostante. La parte sotterranea, quando la fondazione è rocciosa, è formata da iniezioni di impermeabilizzazione e dall'eventuale risanamento e riempimento di faglie o marmitte; quando invece la fondazione è di materiale alluvionale, è formata da muri di taglione, diaframmi in calcestruzzo, palancolate o analoghi dispositivi. La profondità della parte sotterranea non di rado si avvicina all'altezza della parte emergente. Entrambe sono indispensabili per la riuscita e la sicurezza dell'opera: la parte emergente per trattenere l'acqua dell'invaso e contenerne la spinta; la parte sotterranea per impermeabilizzare la fondazione impedendo che l'acqua del bacino se ne vada passando sotto lo sbarramento e, nei terreni alluvionali o carsici, dilavi la fondazione erodendo l'appoggio della struttura in elevazione. La parte sotterranea mancava nella diga sul Rio Piscinas. Le conseguenze di questa imprevidenza erano inevitabili.
Saluto e ringrazio con grande simpatia