Angelo Omodeo (1876-1941).
«Se la popolazione si può assumere come indice-sintesi
grossolanamente approssimato della ricchezza di ogni regione la
Sardegna è povera, è di gran lunga la regione più povera
d'Italia. Non credo si tratti di una povertà assoluta,
definitiva; penso anzi che l'Isola abbia in sé elementi di
ricchezza potenziale, alla cui messa in valore si sono opposti
finora ostacoli più o meno superabili (...).
La ricostruzione della Sardegna, anche astraendo da ogni sentimento di dovere verso quel popolo che tutto ha dato alla Patria senza nulla ricevere, sarà per lo Stato e per la Nazione un GRANDE AFFARE. In nessuna regione d'Italia è così forte, come per la Sardegna, la differenza fra le condizioni attuali della produzione e quelle che si possono, facilmente, raggiungere. Ma per rompere il cerchio chiuso di cause ed effetti distruttori che si generano vicendevolmente, non possono bastare le forze dei singoli, ma occorre la azione direttiva e coordinatrice dello Stato. Ripristinare i fiumi, e ricostruire quanto è stato distrutto! Il resto verrà da sé, senza alcun ausilio ulteriore: Le energie locali si svilupperanno per necessità intrinseche, altre ne accorreranno richiamate dalle ricchezze naturali alla fine redente. E la Sardegna risorta potrà gareggiare colle più fortunate regioni d'Italia!» [Omodeo, Nuovi orizzonti dell'Idraulica italiana - La Sardegna, 1923].
Giulio Dolcetta (1880-1943).
Il debito di riconoscenza che la Sardegna non finirà mai di
pagare all'Ing. Angelo Omodeo e all'altro grande protagonista e
fautore della rinascita dell'Isola a partire dagli anni '20 del '900,
l'Ing. Giulio Dolcetta, non è solo dovuto all'eccellenza delle
loro qualità professionali, di cui la regione ha potuto così
largamente avvantaggiarsi, ma anche alla poliedricità del loro
impegno, sul piano tecnico e organizzativo, politico, sociale, economico-finanziario,
volto a creare le condizioni necessarie affinché la loro
visione, essenzialmente orientata allo sviluppo della regione
attraverso la regolazione delle acque, l'industrializzazione
dell'agricoltura e un'ampia disponibilità di energia elettrica,
potesse tradursi in realtà, come in effetti è avvenuto. «Ci sono paludi da prosciugare,
latifondi estesissimi da coltivare elettricamente, acque
sotterranee da innalzare e la trazione elettrica, i consumi
pubblici, gli usi privati industriali e domestici. Tutto si
svilupperà parallelamente e rapidamente perché la Sardegna anela
ad un tenore più elevato di vita ed alla valorizzazione delle
sue risorse. L'energia che noi prepariamo sarà presto
assorbita ed altra ce ne vorrà; e c'è modo di farne»
[Dolcetta, L'impianto del Tirso ed i serbatoi in Sardegna, 1921].
L'ipotesi di regolare le acque in Sardegna a mezzo di serbatoi artificiali è precedente agli studi dell'Ing. Omodeo. Per il Tirso, in particolare, si ricorda un progetto dell'Ing. Calogero De Castro, del Corpo Reale delle Miniere, presentato già nel 1886 con una relazione introduttiva dell’ing. Felice Giordano, progettista della prima diga di Corongiu per l'approvvigionamento idrico di Cagliari. Il progetto fu redatto nell'ambito degli studi promossi dalla legge 28 giugno 1885, n. 3201, che prevedeva uno stanziamento straordinario di lire 100.000 per lo studio di progetti di irrigazione. De Castro ipotizzava la realizzazione di uno sbarramento con un'altezza di ritenuta di 36 m, formante un bacino di 25.816.000 m³ a scopo irriguo e, marginalmente, di difesa dalle piene. La sezione prescelta era situata alla "stretta del Lauro", tra Busachi e Fordongianus. Riportava, la relazione dell'Ing. De Castro, che «Il bacino imbrifero del Tirso a monte della località da noi scelta, misurato col planimetro polare sulla carta topografica del La Marmora alla scala 1:50.000, risulta di Kmq. 2141,58», il che colloca lo sbarramento certamente a valle della confluenza del Taloro, ma a monte di quella del Flumineddu, pressappoco dove attualmente si trova la diga Cantoniera. Non sfuggiva all'Ing. De Castro come il volume dell'invaso fosse largamente insufficiente tanto a regolare le maggiori piene del Tirso, quanto a consentire l'irrigazione di tutto il comprensorio potenzialmente irrigabile, stimato in 60.000 ettari a fronte dei soli 5.600-6.700 irrigabili grazie al serbatoio progettato. Egli pertanto riteneva che quello da lui proposto dovesse essere il primo di un sistema di serbatoi da realizzarsi sul bacino del Tirso: «Quattro se ne potrebbero fare, di cui tre sussidiari del serbatoio ora progettato». I tre sussidiari avrebbero dovuto essere situati a monte, il primo sull'asta principale, ancora a valle della confluenza del Taloro, gli altri su due affluenti del Tirso, il Rio Paniga e il Rio Tilisai. Il quarto bacino era previsto sul Flumineddu, che confluisce a valle, e sarebbe stato situato a monte dell'abitato di Allai. Al fine di avvicinare il punto di derivazione alle utenze irrigue, a valle della confluenza del Flumineddu, sull'asta principale del Tirso, era infine ipotizzato un piccolo sbarramento, di soli 8 metri di altezza, «ove si farebbero tutte le prese per le campagne della riva destra e della riva sinistra del fiume». E' la funzione che sarebbe poi stata assegnata, nello schema dell'Ing. Omodeo, all'attuale traversa di Santa Vittoria.
Né il serbatoio proposto dagli Ingg. De Castro e Giordano, né
tantomeno gli ulteriori quattro ipotizzati furono mai realizzati.
Neanche per il primo si superò mai la fase della progettazione
preliminare.
Tra il 1897 ed il 1907, il Governo emanò diverse successive leggi speciali in favore della Sardegna, conglobate infine in un Testo Unico delle leggi per provvedimenti per la Sardegna, di cui al R.D. 10 novembre 1907, n. 844, prevedendo da un lato crediti, premi, sgravi fiscali, facilitazioni nell'acquisizione dei terreni, per i privati che avessero provveduto a interventi di miglioramento agrario, dall'altro generosi finanziamenti per opere di rimboschimento dei bacini montani (lire 2.080.000) e di sistemazione idraulica e bonifica (lire 30.580.600). Nemmeno questo, tuttavia, valse a far sì che i diversi studi e progetti elaborati negli anni per la realizzazione delle necessarie opere di correzione dei principali fiumi della Sardegna fosse mai posto in esecuzione. La ragione è, probabilmente, da ricercarsi nel fatto che le leggi speciali per la Sardegna prevedevano che alla realizzazione delle opere di sistemazione idraulica delle quali era previsto il finanziamento, concorresse lo Stato in misura preponderante (per i tre quarti, secondo il R.D. n. 844/1907), ma dovessero anche obbligatoriamente concorrere i proprietari dei terreni e le Province (il concorso dei Comuni, pur inizialmente previsto dalla prima delle leggi speciali per la Sardegna, la n. 382 del 2 agosto 1897, non si ritrova più nel R.D. 10 novembre 1907, n. 844). Dunque sarebbe stata necessaria, da parte degli Enti territoriali e dei privati, una concorde volontà di promuovere e finanziare la realizzazione delle opere, che invece non si ebbe. L'On. Pili, nelle sue Note sul bacino del Tirso e sulla sua funzione di regolatore delle piene, descrive efficacemente i dibattiti, le polemiche e le resistenze che precedettero la realizzazione della diga di Santa Chiara e delle opere di irrigazione e bonifica dell'Oristanese, non ultime quelle dei proprietari dei fertilissimi terreni di Bennaxi situati lateralmente al basso corso del Tirso, per niente convinti che contenere i frequenti straripamenti del fiume, che irrigavano e fertilizzavano i loro terreni, fosse per loro un buon affare.
In alto: frontespizio del progetto (1907) di una
diga, non realizzata, sul basso corso del Coghinas, presso il sito
dell'attuale diga di Casteldoria. Qui sopra: cianografia di una delle tavole, riguardante
in particolare il prospetto di valle della diga.
Il deus ex machina dei destini dei sardi, ancora una
volta troppo individualisti e divisi, avrebbe dovuto venire da
oltremare, come accadde anche stavolta.
Il Prof. Fassò, nella sua memoria Angelo Omodeo - Spunti per una biografia, osserva come i cardini dell'attività progettuale dell'Ing. Omodeo fossero essenzialmente tre:
Così fu anche nel caso delle opere progettate in Sardegna.
Fu l'Ing. Omodeo, autorevole consulente e componente dello staff
tecnocratico della Banca Commerciale Italiana, a indirizzare
l'interesse di quell'Istituto di credito verso la Sardegna; fu
lui che ispirò, attraverso i contatti sviluppati con Francesco
Saverio Nitti ed altri importanti uomini politici dell'epoca, la
legge c.d. "Nitti-Sacchi" per il Tirso e i laghi Silani,
n. 985 dell'11 luglio 1913, che valse a creare le condizioni normative affinché le
opere progettate potessero effettivamente attuarsi. Così scrive
il socialista Omodeo in una lettera del 1921 al suo amico e compagno Filippo Turati:
«Vediamo un esempio tipico in
Sardegna. Esistevano da decenni progetti statali per
l'irrigazione. Invano! Esistevano leggi che promettevano sussidi
e gli stanziamenti annui si accumulavano invano! Venne una
leggina [la legge "Nitti-Sacchi" sopra citata, ndr], di pochi articoli, provocata da me per la attuazione di
un mio progetto: la legge per il Tirso. Essa coordina con saggia
coscienza statale la utilizzazione industriale: la bonifica, la
irrigazione, l'arginatura, ecc. ecc. ma più che tutto essa
intacca il diritto di proprietà assoluto.
I proprietari, pena la espropriazione, debbono trasformare i terreni del comprensorio
irriguo.
E' bastato questo per fare il miracolo! I capitali
mancavano? Sono accorsi! Le leggi passate teoricamente buone non
erano attivabili? Lo sono diventate! I sussidi giacevano
inoperosi? Sono stati utilizzati! Ed oggi si lavora, non ostante
le difficoltà immani portate dalla guerra. I soci del Touring
nella loro gita annuale, lo stesso Re, hanno potuto constatarlo
in luogo. Si costruisce una diga alta 60m, si crea un lago lungo
la metà del Lago Maggiore, si producono 50 milioni di
Chilovattora, si bonificheranno ventimila ettari, se ne
irrigheranno trentamila. E tutto ciò non è che l'inizio di un
più vasto programma».
Luigi Orlando (1862-1933).
La Banca Commerciale Italiana già nel 1906 aveva aperto a
Cagliari la sua filiale, attratta dal programma di costruzione
di sbarramenti ad uso multiplo elaborato dall'Ing. Omodeo, e
propugnato da un comitato di tecnici e industriali tra i quali,
insieme con l'Omodeo, gli Ingegneri Alberto Lodolo e Luigi
Orlando.
Fu l'Ing. Orlando che il 31 marzo 1911 presentò al Prefetto della Provincia di Cagliari, "per conto d'una società da costituirsi", la prima domanda di concessione, corredata di "regolare progetto firmato dall'Ingegnere Angelo Omodeo", intesa a "poter derivare dal fiume Tirso in riva destra del comune di Sedilo alla quota di metri 140.00 sul livello del mare una portata, resa continua a mezzo di serbatoio, di l. 8000 al secondo" destinata alla produzione di energia idroelettrica e all'irrigazione.
La quota alveo 140,00 m s.l.m. si trova a monte della confluenza del Taloro. Dunque questo primo sbarramento ipotizzato dall'Ing. Omodeo era ancora diverso e di assai minore importanza rispetto a quello che fu poi realizzato più a valle con la diga di Santa Chiara d'Ula. E infatti l'altezza prevista, 35 m, avrebbe creato un serbatoio della capacità di soli 136 milioni di metri cubi, contro i 416 milioni dell'invaso di Santa Chiara, ottenuti con uno sbarramento due volte più alto.
Già nel 1912, in una nuova domanda presentata l'8 agosto dagli Ingg. Omodeo e Lodolo, ancora una volta a nome di una società da costituirsi, il primitivo progetto venne sostituito da un altro, dello stesso Omodeo, datato 6 agosto 1912, che prevedeva l'ampliamento del serbatoio spostando la diga a valle della confluenza del Taloro, e facendola assai più alta.
Prospetto di valle della diga, secondo il progetto Omodeo
del 1915.
Prospetto di valle della diga, secondo il definitivo
progetto Kambo (1920).
Il nuovo progetto, che con una diga alta 53,50 m
avrebbe creato un serbatoio di 330 milioni di metri cubi, non è
ancora il quello che sarà effettivamente realizzato, ma è
quello per la cui attuazione Omodeo "provocò" la legge
Nitti-Sacchi 11 luglio 1913, n. 985. Con Decreto Reale in data 25
giugno 1914 la concessione fu accordata alla neocostituita
Società Imprese Idrauliche ed Elettriche
della Sardegna (il successivo Decreto Reale 4 febbraio 1915
modificò poi il precedente limitatamente alla denominazione
della Società concessionaria, diventata Società Imprese Idrauliche ed Elettriche del Tirso).
Finalmente, a seguito della presentazione di una variante, concretata nel progetto esecutivo in data 20 dicembre 1915, lo sbarramento ed il bacino raggiungevano le dimensioni definitive: la quota del coronamento era portata a 112 m s.l.m., l'altezza di ritenuta a 60 metri, il volume dell'invaso a 416 milioni di metri cubi
Le principali Società del gruppo sardo.
La Società Imprese Idrauliche ed Elettriche del Tirso
(denominata inizialmente Imprese Idrauliche ed Elettriche
della Sardegna), concessionaria della diga di Santa Chiara,
fu costituita a Livorno il 24 maggio 1913. Il 4 novembre 1911, sempre a
Livorno, era stata costituita la
Società Elettrica Sarda (SES), cui appartenevano le centrali
termoelettriche di Cagliari e Sassari. Le due Società erano
consociate e collegate finanziariamente, facendo entrambe capo
alla holding costituita dalla Banca Commerciale Italiana, dalla
Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali dei conti
Bastogi e dalla Vickers Limited di Londra, attiva nel settore
delle turbine elettriche. Tra la SES e la "Tirso", che avevano scopi
sociali simili, venne da subito stipulato un accordo per una
precisa ripartizione dei compiti e delle zone di influenza.
Insieme con la Società Bonifiche Sarde (SBS), costituita a Milano il 23 dicembre 1918, la Tirso e la SES rappresentarono una vera e propria holding, citata spesso come "gruppo elettrico sardo", o semplicemente "gruppo sardo", alla quale si devono tutte le principali realizzazioni nel settore elettrico e irriguo nell'Isola nell'anteguerra e molte di quelle del dopoguerra.
Jósef Leopold Toeplitz (1866-1938).
Dal 1917 fu collocato alla direzione della SES e della Tirso
l'Ing. Giulio Dolcetta, l'uomo che Jósef Toeplitz,
amministratore delegato della Banca Commerciale, individuò come il più idoneo a
guidare la holding nel compito di realizzare i grandi laghi
artificiali progettati dall'Omodeo. Fu proprio l'Ing. Dolcetta
il maggiore sostenitore della creazione della Società Bonifiche
Sarde, destinata a realizzare, nella zona più malarica e
improduttiva dell'isola, una grandiosa bonifica agraria
integrata con opere irrigue e stradali. La realizzazione più
importante della SBS, e cioè la bonifica di Terralba, rese
fertili e coltivabili i terreni di buona parte del Campidano di
Oristano, sviluppando una colonia rurale moderna e produttiva
(l'attuale Arborea, denominata Mussolinia fino al
crollo del regime fascista).
Guido Donegani (1877-1947).
Ben consapevole di operare in una regione povera di capitali, di
industrie e di imprenditoria locale, Dolcetta mirò da subito
alla creazione di un solido gruppo industriale integrato, capace
di realizzare autonomamente il processo di industrializzazione
dell’isola. Per questo motivo, negli anni che seguirono al suo
trasferimento in Sardegna, quando ormai l'attività della holding
elettro-finanziaria era entrata a pieno regime, vennero
costituite altre Società collegate, come la Società Sarda
Costruzioni, la Società anonima Fabbrica Cementi Portland e,
soprattutto, la Società Sarda Ammonia e Prodotti Nitrici,
fondata in partenariato con la Montecatini di Guido Donegani e
destinata a consumare grandi quantitativi di energia
idroelettrica prodotta dai bacini di nuova costruzione, in
particolare quello del Coghinas. Inoltre,
il gruppo controllava l’Azienda Autonoma di Illuminazione
a Sassari, la Società anonima Industrie Minerarie Sarde,
la Società delle Tramvie della Sardegna, la Società
per le Ferrovie Complementari della Sardegna, la
Società Italiana per le Strade Ferrate Secondarie della Sardegna,
e le Strade Ferrate Sarde, a conferma che il problema
dei trasporti era ritenuto strategico per lo sviluppo dell’isola e per
l’utilizzo dell’energia elettrica [Mignone, 2010].
Non poteva sfuggire all'Ing. Dolcetta che la presenza di un gruppo di queste dimensioni, mai esistito prima (e mai più esistito dopo) in Sardegna, avrebbe rappresentato una rottura negli equilibri sociali e patrimoniali di una società ancora molto arretrata come quella sarda. Fu questa consapevolezza, e la sincera determinazione a favorire, insieme con lo sviluppo delle proprie imprese, quello della Sardegna in generale, che lo portò a interessare al suo programma i tecnici, gli imprenditori e i rappresentanti politici locali, sollecitandone l'appoggio e il coinvolgimento. Nel gennaio 1921 l'Ing. Dolcetta indirizzò una lettera aperta a tutti i sardi "che hanno vivo il desiderio del progresso della loro Regione", esponendo idee e propositi per la rinascita dell'Isola. L'appello ottenne l'adesione di Luigi Merello, Ferruccio Sorcinelli, Stanislao e Dionigi Scano, Sante Boscaro, Guido Contivecchi, dei fratelli Capra, dei Guiso Gallisai di Nuoro e di altri.
Diretti dall'Ing. Luigi Kambo, i lavori di installazione del cantiere della diga di Santa Chiara ebbero inizio sul finire del 1917, preceduti, come di consueto, dagli studi geognostici sull'area di imbasamento e dalle indagini sulle cave della pietra e degli inerti, iniziati già dal 1914. Il contemporaneo divampare della guerra 1915-18 ebbe l'effetto di ostacolare fortemente i lavori, a causa della partenza per il fronte di tanti lavoratori e per le immani difficoltà di approvvigionamento di materiali e macchinari derivanti dalla guerra in corso.
Luigi Kambo (1880-1956).
«I lavori di prima istallazione si iniziarono sotto la
direzione dello scrivente nello scorcio del 1917 quando, sulla
nostra Patria, si abbatteva l'immeritato disastro di Caporetto;
gravissime furono le difficoltà contro le quali dovevamo lottare
dovute alle condizioni speciali del momento: scarsissima e
deficiente per età e per malattie la mano d'opera locale,
essendo forse la Sardegna quella tra le regioni d'Italia che ha
dato la percentuale massima di soldati, deficientissimi i
trasporti ferroviari nell'interno dell'isola pel fatto che più
della metà delle decrepite locomotive delle Ferrovie Reali Sarde
era stata messa fuori di servizio dalla lignite locale bruciata
in focolari inadatti; irregolari e mal sicuri i trasporti in un
mare infestato dai sottomarini per cui avveniva che pezzi della
stessa macchina fossero scaricati parte a Cagliari e parte a
Golfo Aranci e per giunta a grande distanza di tempo; gravi
difficoltà si opponevano ai rifornimenti di carbone, benzina,
esplosivi; scarso, sebbene volenteroso, il personale tecnico
disponibile.
L'Ing. Andrea Pertoldeo, da Rivignano (UD),
ricordato dall'Ing. Kambo nella memoria del 1922 sulla diga
di Santa Chiara e sulla lapide commemorativa che fu posta
alla estremità destra del coronamento. Contrasse la malaria
durante i lavori e ne morì il 6 febbraio del 1919.
A queste difficoltà contingenti si aggiungevano quelle
permanenti date dalla località dove doveva sorgere il cantiere,
lontana da centri abitati, da ferrovie, da strade, priva di
sorgenti potabili; sulle quali difficoltà prevaleva e prevale la
grande nemica che quest'opera è destinata a combattere: la
malaria.
Il piano dominante la stretta e sul quale doveva sorgere il cantiere aveva un nome molto significativo: «Pranu de sa Morti» (Piano della Morte) e ciò soprattutto per la presenza di stagni che fu prima cura della Direzione dei lavori di prosciugare interamente. Con ciò e a malgrado delle ingenti quantità di chinino distribuite largamente e delle altre provvidenze, la malaria ha mietuto e miete direttamente o indirettamente le sue vittime tra le quali la più dolorosa è stata quella del valoroso Ing. Andrea Pertoldeo.
I primi lavori oltre il prosciugamento degli stagni, furono la sistemazione della strada romana e i baraccamenti per gli operai. Ottenuti circa 400 prigionieri austriaci, (mano d'opera di scarso valore non perché di austriaci ma perché di prigionieri), si poterono intraprendere gli scavi per mettere a nudo la roccia, si costruì la centrale termica pei lavori, un silos da cemento per 800 tonn., varie strade interne del cantiere, una teleferica, piani inclinati, si aprirono le cave per la produzione della pietra e si montarono e istallarono varie macchine.
Venuta la vittoria ben presto il ritmo dei lavori si accelerò per il ritorno dei nostri soldati, si condussero rapidamente a termine le istallazioni più importanti e si iniziò la costruzione della diga che da allora continuò a progredire con velocità crescente sotto la direzione dell'ingegnere Felice Costamagna, il quale sin dall'aprile 1919, in seguito al mio passaggio all'Ispezione dei lavori, mi aveva sostituito» [Kambo, La diga di S. Chiara d'Ula sul Tirso in Sardegna, 1922].
La diga di Santa Chiara in fase di costruzione avanzata.
Il progetto presentato dall'Ing. Omodeo comprendeva una diga
rettilinea a gravità di sezione triangolare, la centrale
idroelettrica, un ponte in sostituzione di quello della
provinciale Abbasanta-Sorgono, destinato ad essere sommerso, una
traversa di presa dal Tirso a valle del grande sbarramento
(l'attuale Santa Vittoria) con due canali d'irrigazione. Tutto
questo fu poi effettivamente realizzato nelle sue linee
principali, salva una modifica proposta dall'Ing. Kambo,
consistente nel realizzare una diga non più a gravità ma ad
archi multipli, spostando la centrale idroelettrica all'interno
dei vani tra i contrafforti. La principale ragione di questa
variazione consisteva in un risparmio valutato in circa 14
milioni di lire del 1919 (circa 20 milioni di euro attuali),
portandosi il preventivo di spesa da 52,7 a 38,7 milioni di
lire. Vi erano anche altri vantaggi secondari, tra i quali il
posizionamento dei gruppi generatori di corrente all'interno del
corpo della diga, ottenendo un notevole risparmio sia nella
lunghezza delle condotte forzate sia nella costruzione dei muri
del corpo di fabbrica adibito, in progetto, a centrale
idroelettrica. La variante proposta dall'Ing. Kambo fu
presentata al Ministero dei Lavori Pubblici il 10 agosto 1920
dall'Ing. Dolcetta, Amministratore Delegato della Società
concessionaria.
Le dighe ad archi multipli, come quella proposta dall'Ing. Kambo e infine realizzata, ebbero nei primi decenni del '900 il loro periodo di massima diffusione. La tipologia deriva in modo evidente da quella delle dighe ad arco, e rappresenta una brillante soluzione al problema posto dalla difficoltà di costruire una diga ad arco in sezioni di sbarramento piuttosto ampie, ove di norma la tipologia a gravità si fa preferire. Chiudere una sezione ampia con una diga ad arco richiede di realizzare una volta di grande diametro, e la tecnica insegna che maggiore è il diametro adottato, maggiore sarà anche lo spessore da assegnare all’arco affinché le sollecitazioni nella muratura rimangano contenute entro valori ammissibili. Dunque, crescendo l’ampiezza della stretta, la diga ad arco perde la sua caratteristica più interessante: quella di contenere la spinta dell’acqua invasata con una struttura molto più snella ed economica di una diga a gravità. La diga a volte multiple risolve il problema dividendo la sezione di sbarramento in più tratte, ciascuna da chiudere con un arco di modesto diametro e, corrispondentemente, modesto spessore: “uno dei rari autentici colpi di genio”, secondo lo studioso e storico delle dighe svizzero Niklaus Schnitter. In America, l’Ing. John S. Eastwood (1857-1924), convinto fautore di questa tipologia e progettista e costruttore di parecchie di queste dighe nell’ovest degli Stati Uniti, parlava della diga ad archi multipli come della “diga definitiva”, cioè il punto di arrivo, non più superabile, della tecnologia delle dighe di ritenuta.
28 aprile 1924. Vittorio Emanuele III (secondo da destra,
di spalle) inaugura la diga del Tirso. L'Ing. Dolcetta è il
primo da destra, di fronte al Re.
Anche in Italia, intorno al
1920, le dighe ad archi multipli presero a diffondersi. La prima
ad essere completata, nel 1920, fu la diga di Riolunato in
provincia di Modena, e subito dopo fu il turno della grande diga sul Tirso,
i cui lavori terminarono nel 1923. Quest'ultima, con i suoi 70,5 metri di altezza
sulle fondazioni era all’epoca la più alta del mondo di questa
tipologia. Non fu mai, come spesso si legge, la diga
che formava il più grande lago artificiale d’Europa (la diga
norvegese di Møsvatn, ultimata nel 1908, invasava 1064 milioni
di metri cubi, due
volte e mezzo più della diga di Santa Chiara, e non era l’unica
a formare un invaso più grande); ma la diga di Santa Chiara non
aveva bisogno di primati per essere considerata un monumento
alla bellezza e all’intelligenza, e la sua fama valicò presto i
confini nazionali e finanche l'Atlantico: «La
grandezza dell'opera ha destato molto interesse anche
all'estero, forse più che in Italia, specie in Francia e
nell'America del Nord da cui sono pervenute insistenti richieste
di dati; così negli atti della «American Society of Clvil
Engineers» (Vol. LXXXIV, 1921 - Paper n. 1463) è scritto
testualmente a proposito di questa diga: «Una descrizione
del progetto e dei metodi Europei di costruzione di dighe ad
archi multipli di tale altezza, sarà certamente di grande
profitto per gli ingegneri americani». Una dichiarazione
così modesta da parte di una Società di cui fanno parte uomini
come Wegman, Jorgensen, Eastwood, per non parlare che degli
ingegneri Nord-Americani, di coloro cioè che hanno costruito le
più alte e ardite dighe del mondo (è In progetto sul Colorado
per la città di Los Angeles una diga ad arco alta 180
metri), onora assai chi la formula!» [Kambo, La diga di S. Chiara d'Ula sul Tirso in Sardegna,
1922].
La diga di Santa Chiara d'Ula fu inaugurata il 28 aprile 1924, alla presenza del Re Vittorio Emanuele III.